13 Dicembre 2021

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

 

L’IMPUGNAZIONE DELLA TRANSAZIONE CONTRAFFATTA ONERA IL DIPENDENTE, SUL PIANO PROBATORIO, A PRESENTARE PREVENTIVAMENTE UNA QUERELA DI FALSO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 29912 DEL 25 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n° 29912 del 25 ottobre 2021, ha precisato che per contestare la transazione sottoscritta dal dipendente e la cui sottoscrizione non è disconosciuta, seppur alterata, è necessaria una preventiva querela di falso.

Il caso esaminato ha riguardato il ricorso di una azienda del settore della ristorazione avverso la pretesa di differenze retributive avanzata dalla lavoratrice dipendente, in virtù del rapporto di lavoro occorso dal 2 ottobre 2008 (con formale assunzione solo dal 19 giugno 2009) e cessato il 25 marzo 2010.

In primo grado il Tribunale di Pescara aveva accolto la richiesta avanzata dalla dipendente, condannando l’azienda al pagamento di euro 24.481,75 a titolo di differenze retributive, somma poi ridotta in secondo grado perché già parzialmente percepita dalla lavoratrice sulla base delle risultanze dell’accertamento del consulente tecnico ufficiale. Più nel dettaglio la Corte distrettuale aveva rilevato che, benché la dipendente avesse sottoscritto la transazione e la completa tacitazione di ogni ulteriore pretesa, non disconoscendone la firma, la stessa risultava palesemente contraffatta in ordine all’importo stabilito, con l’aggiunta del numero 1 davanti alla somma iniziale di euro 1.500,00.

I Giudici di legittimità, ribaltando quanto stabilito dalla Corte di Appello, hanno rilevato che la scrittura privata, quando ne sia stata o debba considerarsi riconosciuta la sottoscrizione, è sorretta da una presunzione di autenticità del contenuto. Più precisamente l’autenticità della sottoscrizione fa presumere la provenienza delle dichiarazioni riportate al sottoscrittore; tale presunzione decade solo quando il presunto autore delle dichiarazioni risultanti dal documento esperisca – con esito positivo – querela di falso. Pertanto, quest’ultima, risulta elemento necessario di prova della contraffazione ai fini della denuncia di falsità materiale di una scrittura privata. Sarà poi onere della controparte dimostrare che l’alterazione sia avvenuta con il consenso del sottoscrittore per ricomporre il collegamento tra sottoscrizione e dichiarazioni, interrotto dal positivo esperimento della querela di falso.

 

LE CLAUSOLE MIGLIORATIVE INTRODOTTE IN FASE DI RINNOVO DEL CCNL SONO APPLICABILI ANCHE AI RAPPORTI DI LAVORO CESSATI SE NON DIVERSAMENTE DISPOSTO DALLE PARTI SOCIALI

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 29906 DEL 25 OTTOBRE 2021

La Corte di Cassazione, sentenza n. 29906 del 25 ottobre 2021, afferma l'applicabilità delle clausole retroattive introdotte con il rinnovo del CCNL anche ai dipendenti per i quali sia intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro, ad eccezione dei casi in cui le parti sociali, nell’esplicazione della loro autonomia contrattuale, limitino i benefici ai dipendenti in servizio presso il datore di lavoro.

Nel caso in oggetto, il lavoratore proponeva ricorso per ottenere dal suo precedente datore di lavoro, con il quale il rapporto di lavoro si era ormai concluso, differenze retributive scaturite dall’applicazione degli aumenti contrattuali stabiliti in sede di rinnovo del CCNL e previsti per il quadriennio in cui era stato in servizio.

Il Tribunale respingeva il ricorso, mentre la Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda del lavoratore ritenendo che quest’ultimo avesse diritto alle differenze retributive, nonostante il rapporto di lavoro fosse cessato prima della firma del rinnovo contrattuale, in quanto le clausole migliorative ad efficacia retroattiva inserite all’interno del CCNL sono applicabili indistintamente a tutto il personale in servizio nel periodo di riferimento, indipendentemente da eventuali cessazioni del rapporto di lavoro intervenute prima della data della sottoscrizione del nuovo contratto.

Il datore di lavoro presentava ricorso alla Suprema Corte, la quale però, confermando quanto stabilito dai Giudici della Corte Distrettuale, afferma che il lavoratore iscritto ad un’associazione sindacale conferisce alla stessa mandato per la stipulazione di un nuovo contratto collettivo, anche se tale contratto viene stipulato in un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, nel caso in cui le parti sociali abbiano attribuito valore retroattivo alle disposizioni contenute nel rinnovo contrattuale e senza alcuna specificazione in merito alla eventuale persistenza del rapporto di lavoro.

Inoltre, in linea con un principio già affermato in precedenza dalla medesima Corte, è necessario che, ai fini dell’esclusione della retroattività delle disposizioni contrattuali per i lavoratori i cui rapporti siano ormai cessati, le parti sociali limitino i benefici delle clausole migliorative ai soli lavoratori ancora in servizio.

Per le ragioni esposte, i Giudici di Piazza Cavour rigettano il ricorso presentato dal datore di lavoro.

 

LEGITTIMA L’ESCLUSIONE DALLE TRATTATIVE PER IL RINNOVO DEL CCNL DI UN SINDACATO RAPPRESENTATIVO DEL 4% DEL COMPARTO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 33801 DEL 12 NOVEMBRE 2021

La Corte di Cassazione con sentenza n. 33801 del 12 novembre 2021 ha ritenuto legittima l’esclusione dalle trattative per il rinnovo del CCNL di un sindacato che rappresenta il 4,37% circa del comparto.

Nel caso in trattazione, la Federazione del pubblico impiego – anche detta ‘Dirpubblica' – agiva innanzi al Tribunale di Roma nei confronti dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (Aran) per veder riconosciuto il proprio diritto a partecipare alle trattative per la stipula del contratto collettivo dei dirigenti delle Agenzie fiscali previa declaratoria di nullità dell’Accordo Quadro Nazionale. La Dirpubblica sosteneva, infatti, di avere una percentuale di rappresentatività pari al 19% rispetto a suddetti enti mentre tale percentuale scendeva al 4,37% se calcolata rispetto all'intero comparto definito dall'Accordo Quadro Nazionale (AQN) comprensivo, oltre che delle agenzie fiscali, anche gli enti pubblici non economici. I giudici di primo grado respingevano il ricorso ed avverso tale sentenza l’associazione soccombente proponeva ricorso in Appello.

I Giudici d’Appello confermavano la sentenza del Tribunale di primo grado specificando che, riguardo alla nullità dell’Accordo Quadro Nazionale sulle aree dirigenziali, il legislatore non aveva individuato nel criterio di "effettività sindacale" un limite legale per la definizione dei comparti e delle aree affidando quest'ultimo aspetto ai rapporti di forza che possono manifestarsi in quella sede. Né tantomeno si poteva ipotizzare una violazione dei principi per l'individuazione delle aree di contrattazione dirigenziale in quanto l'art. 43 D.Lgs. 165/2001 imponeva l’identificazione dei comparti sulla base di parametri di omogeneità ed affinità dei settori senza porre limiti rispetto ad un eventuale accorpamento di essi al fine della individuazione delle aree di contrattazione dirigenziale, pertanto l'Accordo Quadro Nazionale che aveva determinato un'area unificando due comparti (agenzie fiscali ed enti pubblici non economici) non poteva dirsi invalido. Riguardo all’illegittimità costituzionale, i Giudici ritenevano che l'esclusione di qualche organizzazione sindacale dalle trattative “appartiene in modo naturale e fisiologico al sistema di relazioni sindacali” e che la tutela della singola organizzazione sindacale è affidata all'ambito sindacale e si esercita attraverso la confederazione di affiliazione che ha diritto a partecipare alla stipula dell'Accordo Quadro Nazionale.

La Dirpubblica ricorreva per la cassazione della sentenza d’Appello ma, gli Ermellini confermavano la decisione di secondo grado escludendo l'ipotesi di una riammissione della sigla sindacale alle trattative. Secondo i giudici Supremi il sistema di accesso alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego privatizzato prevede una previa determinazione dei comparti (non dirigenziali) e delle aree (dirigenziali) attraverso un negoziato tra Aran e Confederazioni partecipate, in almeno due aree o comparti, da organizzazioni sindacali munite di rappresentatività superiore al 5%  e, di conseguenza, “ammette alle trattative sul livello nazionale le organizzazioni sindacali che, in ciascuna area o comparto, così definiti, hanno una rappresentatività sempre superiore al 5%”. I Giudici evidenziavano anche che è vero che ciò comporta il rischio che una rappresentatività rilevante in un determinato settore di un’area diventi poi inconsistente, in quanto inferiore al 5%, se calcolata in relazione all’intera area di appartenenza, tuttavia è necessario stabilire un criterio che consenta di individuare con certezza e rigore le controparti ammesse alla contrattazione munite di forza negoziale non occasionale.

In sostanza, secondo la Cassazione, il nostro Ordinamento non nega l'operatività di Dirpubblica come organizzazione sindacale sebbene non ne consenta l'accesso diretto alla contrattazione collettiva per ragioni di selezione e misura della rappresentatività; non va dimenticato, infine, che la Federazione ha partecipato alla definizione degli Accordi Quadro Nazionali sulle aree contrattuali ancorché in maniera mediata attraverso l'adesione ad una delle confederazioni ammesse.
 

IL CREDITO DI IMPOSTA NON INDICATO NEL QUADRO "RU" DEL MODELLO UNICO COMPORTA LA SANZIONE DELLA DECADENZA DEL CREDITO ANCHE SE NON ESPRESSAMENTE PREVISTA DALLA NORMATIVA DI RIFERIMENTO.

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 34266 DEL 15 NOVEMBRE 2021.

La Corte di Cassazione – sentenza n°34266 del 15 novembre 2021 – ha statuito, in tema di imposte sui redditi, che la mancata compilazione del quadro "RU" nei modelli dichiarativi, recante l'indicazione dei crediti di imposta spettanti, è richiesta a pena di decadenza.

Nel caso de quo, la CTR del Piemonte accoglieva l'appello proposto dall'AdE avverso la sentenza della CTR di Biella che aveva accolto il ricorso proposto da una società contribuente avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di irregolarità ex art. 36-bis, DPR 600/73 (id: controllo automatizzato), con cui era stato richiesto il pagamento della somma di euro 125.268,00, relativa all'utilizzo di un credito d'imposta per spese di ricerca relativo all'anno 2008, compensato nel 2009, ma non indicato nella dichiarazione relativa all'anno 2008, nel quadro RU, ancorché  successivamente rettificata nel 2011. In particolare, la CTR aveva giudicato corretto il comportamento dell'Ufficio che, pur non disconoscendo l'oggettiva validità del credito, ne aveva richiesto l'indicazione, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi del periodo di imposta di pertinenza.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società eccependo che la CTR, nell'accogliere il gravame dell'Ufficio, aveva fatto ricorso ad una pronuncia di Cassazione (Cfr. sentenza n°19868 del 2012) che, in realtà, si riferiva ad incentivi per le imprese che provvedono ad assunzioni di titolari di dottorato di ricerca, mentre il credito d'imposta maturato dalla società  ricorrente era relativo ad attività di ricerca svolta direttamente dalla stessa società, ex art. 3, D.Lgs. n°297/1999, per il quale non era prevista alcuna decadenza in ordine alla esposizione del credito in "RU" del modello unico. Inoltre la società aveva indicato il credito d'imposta con l'invio di una dichiarazione integrativa.

Orbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso evidenziando che, nel caso di crediti di imposta, si è in presenza non di una dichiarazione di scienza (con possibilità di presentare una dichiarazione integrativa), ma di una manifestazione di volontà irretrattabile (senza alcuna possibilità di sanare la sanzione decadenziale).

Nella specie, hanno continuato gli Ermellini, a seguito dei continui rimandi da parte del D.Lgs. n°297/1999 alla disciplina generale per la fruizione dei crediti di imposta di cui alla L. n°449/1997, la CTR ha operato correttamente, anche in assenza di un espresso richiamo normativo, in ordine all'applicazione della sanzione della decadenza del credito di imposta, qualora non indicato nel modello dei redditi per l'annualità in cui lo stesso è sorto.

Da ultimo, come affermato dalle sezioni unite della Corte di Cassazione (Cfr. Cass. n°13378/2016),

il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come proprio nella fattispecie occorsa.

 

DIFFERENZA TRA CREDITO INESISTENTE E CREDITO NON SPETTANTE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N.34445 DEL 16 NOVEMBRE 2021

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34445 del 16 novembre 2021, ha statuito che, in caso di compensazione di crediti tributari, il concetto di credito inesistente si sostanzia quando manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (id: credito non reale) e la cui inesistenza non risulti riscontrabile mediante l’attività di liquidazione e controllo di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973 nonché dell’articolo 54-bis del DPR 633/1972, e quindi, pertanto,  deve essere superato l’orientamento secondo cui non vi è, dal punto di vista giuridico, una particolare differenza tra crediti d’imposta non spettanti e crediti d’imposta inesistenti.

Il caso di specie riguarda le doglianze di una società, a cui era stato contestato un atto di accertamento, dopo il decisum della CTR che aveva specificatamente distinto, ai fini della verifica della tempestività dell’atto di recupero, tra inesistenza del credito d’imposta indebitamente portato in compensazione e non spettanza del credito, rimarcando il termine decadenziale stabilito dall’art. 27, comma 16, del DL n.185/2008, in base al quale lo specifico atto di recupero per l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti deve essere notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello di utilizzo.

I Giudici di piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno evidenziato come il termine ottennale di decadenza deriva dalla nuova disciplina prevista dall’art. 13, comma 5, Dlgs. n. 471/1997, introdotto dall’articolo 15 del D.Lgs. n. 158/2015, che, tra l’altro, definisce il credito inesistente come quello al quale “manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter D.P.R. 600/1973 e all’articolo 54-bis D.P.R. 633/1972”.

Nello specifico, per gli Ermellini, il credito tributario utilizzato dal contribuente può definirsi come inesistente quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali del beneficiario e quando tale assenza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi della dichiarazione ovvero in possesso dell’anagrafe tributaria. Inoltre, ne è prova che il raddoppio dei termini, da 4 a 8 anni, dipende dalla non immediata riscontrabilità da parte del fisco, che richiede una più complessa attività di accertamento, ragion per cui, deve essere superata l’affermazione secondo cui non ha senso distinguere tra crediti d’imposta non spettanti e crediti d’imposta inesistenti.

In nuce, per la S.C., in tema di compensazione dei crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dall’art. 27, comma 16, del DL n. 185/2008, convertito nella Legge n. 2/2009, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito non spettante, bensì, di un credito inesistente, per tale ultimo dovendosi intendere, ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, del Dlgs. n. 471 del 1997, il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo, ergo il credito non è “reale” e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR n.600/1973 e all’art. 54-bis DPR n.633/1972.

Carissimi Colleghi, con questo numero si conclude il nostro impegno istituzionale per l’anno 2021 di Formare…informando. Vi auguriamo buone festività ed un proficuo 2022.

Arrivederci con il n. 1/2022 della rubrica “Formare…Informando” per il giorno 10.01.2022.

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

 

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 13 Dicembre 2021