19 Dicembre 2022

Gentili Colleghe e Cari Colleghi,
nell’ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli…….

Oggi parliamo di………….

COEFFICIENTE DI RIVALUTAZIONE T.F.R. NOVEMBRE  2022

Il 16 Dicembre scorso l’ISTAT ha comunicato coefficiente ed indice per rivalutazione TFR Novembre 2022 (id: licenziamenti dal 15 novembre al 14 dicembre 2022) determinandoli in 9,637712 e 117,9.

IL CONSENSO ALLA CESSIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO PUO’ ESSERE ANCHE TACITO

CASSAZIONE – ORDINANZA N. 27681 DEL 21 SETTEMBRE 2022

La Corte di Cassazione, ordinanza n° 27681 del 21 settembre 2022, ha statuito che il consenso del lavoratore alla cessione del proprio contratto può essere, oltre che espresso, anche tacito, purché venga manifestata in maniera adeguata la volontà di porre in essere una modificazione soggettiva della parte datoriale.

La controversia oggetto della pronuncia ha riguardato il ricorso di un lavoratore volto ad ottenere la dichiarazione di nullità o illegittimità del trasferimento di azienda ad opera della società originariamente sua datrice. La Corte d’Appello respingeva la predetta domanda, sul presupposto che la volontà del ricorrente di accettare, anche tacitamente, la cessione del suo contratto alla nuova azienda era resa evidente da una serie di fatti concludenti: la sottoscrizione della lettera di assunzione alle dipendenze del cessionario, l'esecuzione effettiva dell'attività lavorativa alle dipendenze di quest'ultimo per oltre un anno e, peraltro, la successiva impugnazione del licenziamento per giusta causa nel quale, evidentemente, il lavoratore identificava il cessionario come datore di lavoro a tutti gli effetti.

Secondo la Cassazione è configurabile una cessione di contratto ai sensi dell'art. 1406 c.c., ogniqualvolta via sia un accordo bilaterale tra cedente e cessionario al quale segua temporalmente il consenso del contraente ceduto.

Per la sentenza, quest’ultima condizione – che costituisce elemento essenziale del negozio – può essere anche successiva all'accordo tra cedente e cessionario purché, nel momento di tale adesione non sia venuto meno l'accordo originario e permangano tutte le relative condizioni.

Secondo i Giudici di legittimità, a tal fine, devono essere osservate le stesse forme prescritte per il contratto ceduto e – poiché non si richiede per il contratto di lavoro una forma tipica – altrettanto deve ritenersi sia per il negozio di cessione tra cedente e cessionario che per il consenso alla cessione del lavoratore.

Su tali presupposti, la Suprema Corte rigetta il ricorso proposto dal lavoratore, ritenendo provato il consenso del medesimo alla cessione del suo contratto.

IL DATORE DI LAVORO È RESPONSABILE DELLA FORMAZIONE IN MATERIA DI SICUREZZA, INDIPENDENTEMENTE DALL’ESPERIENZA PROFESSIONALE DEL LAVORATORE

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA N. 39489 DEL 19 OTTOBRE 2022

La Corte di Cassazione, con sentenza n.39489 del 19 ottobre 2022, ha statuito la responsabilità datoriale per la mancata formazione in materia di sicurezza, anche per i lavoratori che posseggano una pregressa esperienza professionale nel settore.

Nel caso in oggetto, il datore di lavoro veniva ritenuto responsabile per il reato di omicidio colposo e di omessa formazione ed informazione con riferimento ai rischi connessi alla lavorazione, per il decesso di un lavoratore causato dalle lesioni riportate in seguito ad infortunio sul lavoro.

Il datore di lavoro ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione di legge da parte dei Giudici di merito con riferimento alla valutazione del comportamento esorbitante, eccentrico ed eccezionale tenuto dal lavoratore, il quale aveva utilizzato un macchinario diverso rispetto a quello richiesto per la lavorazione cui era adibito.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha statuito che correttamente la Corte territoriale avesse ritenuto responsabile il datore di lavoro in merito alla violazione del suo obbligo di formazione del lavoratore ex art. 37 D.Lgs. n. 81/2008 con riferimento al profilo specifico della sicurezza e che tale obbligo sussistesse comunque, indipendentemente dalla lunga esperienza sul campo del lavoratore.

Infatti, una corretta formazione in materia di sicurezza dovrebbe essere estesa anche all’individuazione dei fattori di rischio ed alla valutazione dei rischi. Inoltre, con riferimento al comportamento tenuto dal dipendente, la Suprema Corte sottolinea che in materia di sicurezza il modello "collaborativo" imposto dal legislatore, in cui gli obblighi sono ripartiti tra tutti i soggetti coinvolti, non implica un esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio per il datore di lavoro, giacché il comportamento tenuto dal lavoratore nel caso in esame era stato diretta e prevedibile conseguenza della mancata conoscenza dei rischi connessi alla lavorazione, generata dall’omissione di formazione del datore di lavoro.

RICONOSCIUTO IL RISARCIMENTO DEI FAMILIARI PER LA MORTE DEL LAVORATORE ADIBITO A MANSIONI INCOMPATIBILI CON IL SUO STATO DI SALUTE.

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 31958/2022 DEL 28 OTTOBRE 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 31958 del 28 ottobre 2022, ha sancito il diritto al risarcimento in favore dei familiari per la morte del lavoratore adibito dal Comune a mansioni incompatibili con la sua condizione fisica.

Nel caso in trattazione, infatti, gli eredi di un dipendente comunale che veniva adibito ripetutamente alla mansione di netturbino-autista, nonostante dette mansioni fossero incompatibili con la sua condizione fisica, così come stabilito dalla Commissione medica, agivano per il riconoscimento della responsabilità datoriale per la morte del lavoratore ed il conseguente risarcimento del danno. Secondo parte attrice la morte, intervenuta a seguito di infarto acuto del miocardIo, era da addebitarsi al Comune reo di avere adibito il dipendente a mansioni non compatibili con la sua condizione fisica.

La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado ed accoglieva la domanda ritenendo palese la responsabilità del Comune al quale poteva imputarsi un comportamento colposo consistito nella perdurante adibizione del dipendente, reiterata nel giorno del decesso, a mansioni che già tre anni prima erano state certificate come incompatibili con la sua condizione fisica, in relazione ad una inabilità lavorativa stimata dalla Commissione medica in misura pari a due terzi.

Avverso tale sentenza l’ente locale proponeva inutilmente ricorso in Cassazione. Anche per la Corte Suprema, infatti, era indubbia la responsabilità del Comune per la morte del lavoratore ed impensabile metterne in discussione il risarcimento dovuto. Per gli Ermellini risultava decisiva la prova testimoniale resa da un collega che era a conoscenza delle modalità di esecuzione della prestazione da parte del lavoratore deceduto e che confermava che quel giorno fosse stato adibito alle mansioni di netturbino-autista. Il racconto palesava il fatto illecito imputabile al Comune rappresentato dall'impiego del lavoratore, in quella giornata come nelle precedenti, in mansioni che già da anni erano state certificate incompatibili con il suo stato di salute. La Corte, pertanto, rigettava il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese.

LE DICHIARAZIONI PROBATORIE DI TERZI ASSUMONO RILEVANZA ANCHE SE NON TRASCRITTE IN P.V.C. DOTATO DI FEDE PRIVILEGIATA

CORTE DI CASSAZIONE – ORDINANZA N. 32024 DEL 28 OTTOBRE 2022

La Corte di Cassazione – ordinanza n°32024 del 28 ottobre 2022 – ha statuito, in tema di onere della prova, che le dichiarazioni rese da terzi nell’ambito dell’accertamento tributario assumono valenza probatoria ancorché non verbalizzate in un p.v.c. ma trasfuse nell’avviso di accertamento.

Nel caso de quo, la CTR della Campania aveva accolto l’appello di una società contribuente in ordine ad avviso di accertamento emesso in ragione della ritenuta inesistenza oggettiva di alcune operazioni; in particolare, secondo la C.T.R. l'onere dell'Amministrazione di provare, anche in via indiziaria, l'oggettiva inesistenza delle operazioni, dimostrando la natura di "cartiera" di tre imprese fornitrici, con conseguente trasferimento alla contribuente dell'onere di provare il contrario, non era stato validamente assolto mediante la riproduzione, con una serie di "omissis", nell'accertamento emanato, delle dichiarazioni degli amministratori delle medesime società cedenti che, per quanto dedotto dalla stessa Agenzia delle entrate, non sarebbero state verbalizzate in un p.v.c., con la conseguenza che non sarebbe stato possibile verificare se e quando esse fossero state assunte da un pubblico ufficiale, il loro contenuto originario, comprensivo dei passi che l'Ufficio aveva ritenuto di omettere nella motivazione dell'avviso.

Non dello stesso avviso l’AF che ha adito la Suprema Corte evidenziando che la mancanza dei processi verbali, sollevata nel grado di merito non precludesse la rilevanza di tali elementi istruttori ai fini della prova, anche indiziaria, della natura di "cartiera" delle cedenti e quindi dell'inesistenza delle operazioni.

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso con rinvio alla CGT di II grado in diversa composizione, specificando che "In tema di IVA, una volta che l'Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l'oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell'IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate”. In particolare, hanno argomentato gli Ermellini, la sentenza impugnata erra quando nega qualsiasi "valenza probatoria" alle convergenti dichiarazioni dei terzi per il solo fatto che esse non siano state trascritte in un p.v.c., dotato di fede privilegiata. Al riguardo, gli Ermellini hanno enunciato il seguente principio di diritto: "In tema di applicazione delle imposte dirette e indirette, l'efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi, testualmente riportate in un avviso di accertamento (quale provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di applicazione dell'imposta), non può essere disconosciuta, tamquam non esset. Le dichiarazioni di terzi rilevano come fonti di conoscenza, come fatti o indizi, che spetta al giudice di merito valutare insieme con gli altri elementi presuntivi che completano il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria, al fine di decidere se l'Ufficio abbia soddisfatto l'onere della prova a suo carico, con conseguente trasferimento al contribuente dell'onere della prova contraria.

IN TEMA DI DIRITTO PROCESSUALE TRIBUTARIO I DOCUMENTI ALLEGATI AL RICORSO POSSONO ESSERE REDATTI IN LINGUA STRANIERA, SUSSISTENDO L’OBBLIGO DELL’USO DELLA LINGUA ITALIANA SOLO PER GLI ATTI PROCESSUALI IN SENSO STRETTO

CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA 33079 del 09/11/2022

Con la sentenza 33079 del 09.11.2022 la Corte di Cassazione ha stabilito un interessante principio in materia processuale tributaria.

Il caso in esame riguardava l’accertamento della residenza estera di un contribuente che pure aveva interessi sul territorio nazionale, e che aveva, nel corso del giudizio tributario, fornito documentazione circa la sua effettiva residenza all’estero (nel caso di specie in Svizzera) redatta in lingua straniera, e pertanto ritenuta, dall’Agenzia delle Entrate, non ammissibile, facendo espresso riferimento agli art.122 e 123 del c.p.c.

Tale documentazione aveva contribuito a creare, nell’organo giudicante, la convinzione dell’effettiva residenza estera del contribuente, e l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso in Cassazione perché riteneva che la produzione di tali documenti, non redatti in lingua italiana, non fosse utilizzabile ai fini processuali se non accompagnata da una traduzione giurata.

Gli articoli 122 e 123 c.p.c. vengono, secondo la Corte di Cassazione, preliminarmente ritenuti applicabili a tutto il diritto tributario in forza dell’art. 1, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (« I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.»), in quanto non esiste, nell’ordinamento, una norma che escluda tale estensione, e, proprio perché applicabili, vengono ritenuti validi ai fini della decisione del caso in esame, per la parte in cui consentono la nomina di un traduttore in maniera facoltativa, e non obbligatoria, ed anche perché tali norme trovano applicazione nei confronti degli atti processuali in senso stretto, non anche per i documenti allegati.

La facoltatività della nomina di un traduttore può essere superata, secondo gli Ermellini, nel caso in cui il Giudice sia in grado di comprendere il senso del documento senza far ricorso all’intervento di un traduttore.

Nel caso in esame quindi la Corte decide per il rigetto del ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, giacché, dall’esame della documentazione e delle motivazioni espresse nei precedenti giudizi, i Giudici avevano adeguatamente valutato la documentazione prodotta, mostrando di non ritenere necessaria la nomina di un traduttore.

La Corte di Cassazione esprime quindi, nella sentenza in esame, il seguente principio:

«Ai sensi degli artt. 122 e 123 cod. proc., applicabili ex art. 1, comma 1, D.lgs. n. 546 del 1992 al giudizio tributario, anche in quest’ultimo, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non per i documenti prodotti dalle parti. I quali, se redatti in lingua straniera, devono pertanto ritenersi acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione, avendo il giudice la facoltà, ma non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno allorché sia in grado di comprendere il significato degli stessi documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione giurata allegata dalla parte»

Ad maiora

IL PRESIDENTE
EDMONDO DURACCIO

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata.

Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!!

Carissimi Colleghi, con questo numero si conclude il nostro impegno istituzionale per l’anno 2022 di Formare…Informando. Vi auguriamo buone festività ed un proficuo 2023.

    Arrivederci con il n. 1/2023 della rubrica “Formare…Informando” per il giorno 09.01.2023.

A cura della Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Edmondo Duraccio, Giusi Acampora, Francesco Capaccio, Pietro di Nono, Fabio Triunfo, Luigi Carbonelli, Rosario D’Aponte e Michela Sequino.

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Modificato: 19 Dicembre 2022